N. 05230/2015REG.PROV.COLL.
N. 02156/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 2156 del 2015, proposto dal
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e dal MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in
persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
l’UNIONE NAZIONALE DELLE CAMERE CIVILI (U.N.C.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio de Notaristefani di
Vastogirardi e Francesco Storace, con domicilio eletto presso
quest’ultimo in Roma, via Crescenzio, 20,
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
- avvocati Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237;
- ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso d’Italia, 29;
- avvocati Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237;
- ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso d’Italia, 29;
per l’annullamento in parte qua,
previa sospensiva,
della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 1351/2015, notificata in data 5 marzo 2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio
dell’appellata Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) e
l’appello incidentale dalla stessa proposto, nonché gli atti di
intervento in epigrafe meglio indicati;
Viste le memorie prodotte dall’appellata U.N.C.C. (in
data 25 settembre 2015) e dagli intervenienti avv.ti Nicodemi e altri
(in data 5 ottobre 2015) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 1694 del 22
aprile 2015, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di
sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. dello Stato Colelli per le
Amministrazioni appellanti, gli avv.ti de Notaristefani di Vastogirardi e
Storace per l’U.N.C.C., l’avv. Suraci per gli intervenienti in epigrafe
meglio indicati e l’avv. Michele Basile (in dichiarata delega dell’avv.
Benucci) per l’ulteriore interveniente Associazione Primavera Forense;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero della Giustizia e il Ministero
dell’Economia e delle Finanze hanno impugnato, chiedendone la riforma
previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in
parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Unione Nazionale delle
Camere Civili (U.N.C.C.), ha parzialmente annullato il decreto nr. 180
del 18 ottobre 2010, recante il regolamento per la determinazione dei
criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli
organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione,
nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
A sostegno dell’appello, è stata dedotta, con tre distinti mezzi, l’erroneità della sentenza in epigrafe:
1) nella parte in cui ha disatteso l’eccezione preliminare di carente legittimazione in capo all’originaria ricorrente;
2) nella parte in cui ha ritenuto illegittimi, e
quindi annullato, i commi 2 e 9 dell’art. 16 del precitato decreto,
relativi alle spese di avvio ed alle spese di mediazione;
3) nella parte in cui ha ritenuto illegittimo, e quindi annullato, l’art. 4, comma 1, lettera b),
del medesimo decreto, relativo all’obbligo anche per gli avvocati di
svolgere la formazione obbligatoria prevista per i mediatori.
Si è costituita l’appellata U.N.C.C., la quale, oltre a
controdedurre a sostegno dell’infondatezza dell’appello e a chiederne
la reiezione, ha altresì proposto appello incidentale, censurando la
sentenza de qua nella parte in cui è stata respinta, fra le varie
questioni di legittimità sollevate dalla ricorrente, quella relativa al
contrasto degli artt. 5, comma 2, del citato d.m. con l’art. 24 Cost.
Nel corso del giudizio, si sono avuti, altresì, in adesione all’appello principale:
- l’intervento ad adiuvandum degli avvocati Roberto Nicodemi ed altri, nella qualità di mediatori iscritti all’albo;
- l’intervento ad adiuvandum, a valere quale opposizione di terzo ex art.
109, comma 2, cod. proc. amm., dell’Associazione Primavera Forense, a
sua volta organismo di mediazione regolarmente iscritto.
Quest’ultima, oltre a concludere nel senso della fondatezza del gravame, assume in limine l’inammissibilità
del ricorso di primo grado per mancata notifica, quale
controinteressato, ad almeno un organismo di mediazione.
Alla camera di consiglio del 21 aprile 2015, questa
Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della
sentenza impugnata formulata in via incidentale dalle Amministrazioni
appellanti.
Di poi, parte appellata ha ulteriormente argomentato con memoria a sostegno delle proprie tesi.
All’udienza del 27 ottobre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili
(U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia,
adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180
del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi
profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di
retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in
parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato
(ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale
di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro
l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini
dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è
pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha
annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1,
del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo
correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione
dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente
strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità
della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di
controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e
dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non
andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione
del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è
nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla
legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5
del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso
l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia
l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua
configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:
- ha, da un lato, respinto la maggior parte delle
doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori
questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova
disciplina medio tempore intervenuta;
- ha, per altro verso, accolto il ricorso
limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010
(reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle
spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di
gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al
comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la
mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione
obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della
qualifica di mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva
di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata
dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art.
64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei
fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione
si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento,
mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello
incidentale dell’originaria ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primarie a monte della censurata disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente
infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche
d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la
legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto
nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale,
l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità
costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente
infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del
d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato
dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua
strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda
giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella”
introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede
di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di
mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la
nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti
l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse
una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di
cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a
prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero
le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della
specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione
dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1
dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato
può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante
incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato
sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la
previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di
mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la
specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado
la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal
presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5
obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone
la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a
limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura
di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in
ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento
di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro
tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale,
con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata
dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro
dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello
incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e
della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei
mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà,
costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo,
di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale
delle previsioni in questione sulla base di una mera visione
“pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata
(come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i
cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno
necessariamente “esperti di diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover
condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata
in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il
vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio
della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012,
non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione
dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni
preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di
prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione
Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta
instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata
evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale
controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era
produttivo di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo
articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione
di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado,
giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale,
e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta
in grado di appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa
sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in
caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi
soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla
rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni
generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005,
nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione
l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di
inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo
riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo
grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in
sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe
del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della
ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”,
risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività
nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede
in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more
dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede
sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra
anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello
dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di
annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo
giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla
parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta
l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010,
nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a
valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo
svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di
valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore
superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante
al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte
chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento.
L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le
spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo
incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento
di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano
essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo
di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle
ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo,
l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la
mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque
l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito
negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice
incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a
un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013
ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il
principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure
limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione
reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e
per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di
sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare
l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo
citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”,
inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i
servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”;
quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al
ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del
censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è
definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato
art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno
le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”
(art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale
dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato
comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di
esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed
invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese
vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non
avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal
medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le
spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e
forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del
servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno
qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che
è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano
accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta
confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato,
di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e
dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione
del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr.
28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non
costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di
mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro
tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che
tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per
chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie,
indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della
mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro
come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e
ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla
collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di
detto servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la
Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella
propria memoria conclusiva rileva:
- che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del
d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di
considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le
spese de quibus finiscono di fatto per coprire non solo i costi
di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del
legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che
dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state
quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio
economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero
comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in
violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
- che, quanto alla previsione del riconoscimento di un
credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione,
questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il
primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi
avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati
oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione
osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di
mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul
complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di
mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non
essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte
relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione
degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una
determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente
a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione
della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una
disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che,
nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle
risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di
mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga
dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso,
dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro”
al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non
trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il
quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto
espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle
sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma –
come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto,
e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro
rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra
esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010
costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso”
degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che
il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico
dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo
servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello,
l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato
il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella
parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di
formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al
relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di
formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può
certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento
dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli
argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare,
quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe,
in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia,
fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al
mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità
“ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per
l’avvocatura dai relativi ordini professionali - i quali possono bensì
prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo
come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e
variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto
alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i
mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata
proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare
che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale
costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di
preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a
intervenire in tale delicato momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli
Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei
mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in
maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”),
alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che
possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze
così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli
avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere
adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria
preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò
finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del
codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il
parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la
conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso
di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3,
lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle
questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca,
sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di
entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe
proposto:
- accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza
impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti
avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)